Leggiamo sulla cronaca locale delle difficoltà dell’Ortopedia di Villamarina e delle prese di posizione, tardive e incomprensibili, poi spiegheremo perché, dei sindaci.
Ci piace riavvolgere il filo e non solo per dire che avevamo ragione, ma per rinfrescare la memoria.
Questa situazione ha una mamma ed è la Legge Regionale 84/2015, cioè la riforma del Sistema Sanitario Regionale della Toscana, e ha anche un babbo, anzi, ne ha tanti, ma il babbo vero, quello che ha messo il “semino”, è l’ex Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi.
L’obiettivo dichiarato era quello di ottimizzare le risorse, ridurre la burocrazia e migliorare l’efficienza, riducendo a 3 macro-Aziende USL (Nord Ovest, Centro, Sud Est) le 12 ex Aziende Sanitarie Locali (ASL) e ridisegnando la rete ospedaliera e territoriale.
Noi lo abbiamo sempre detto che avrebbe avuto, come le ha avute, conseguenze disastrose per i cittadini, perché la riforma aveva, e ha, un cuore pulsante che si chiama “razionalizzazione del sistema sanitario regionale”.
In psicanalisi la razionalizzazione è un “processo per il quale si cerca di giustificare o spiegare un’azione, un’idea, un sentimento la cui vera motivazione è, a scopo difensivo, mantenuta inconscia perché ritenuta inaccettabile dal punto di vista logico e morale.”
Troviamo questa definizione, tra le altre, quella più calzante alla situazione: la motivazione inconscia (ma non tanto) è la necessità di fare cassa, di lucrare sulla salute dei cittadini.
La fusione di 12 ASL in 3 macro-aziende ha portato a una gestione centralizzata e questo, conseguentemente, ha significato una perdita di autonomia da parte dei territori e la mancanza di conoscenza diretta dei territorio da parte delle Aziende-USL. E se non conosci non capisci.
Contemporaneamente, sempre nella logica della razionalizzazione, la Regione ha attuato il ridimensionamento, o in alcuni casi la chiusura, di presidi ospedalieri e territoriali e quindi, successivamente, la riduzione o chiusura di piccoli ospedali e presidi sanitari periferici, costringendo i cittadini, soprattutto nelle aree marginali, rurali o meno popolate, a percorrere lunghe distanze per accedere a cure e servizi essenziali (es. pronto soccorso, ambulatori specialistici).
Questa perdita di prossimità e il conseguente allungamento delle liste d’attesa, hanno reso più difficile e meno accessibile l’erogazione dei servizi sanitari, specialmente nelle aree meno popolate della regione.
Ma i cittadini sono tutti uguali. O dovrebbero.
Le attività rivolte alla salute e al benessere dei cittadini non possono essere razionalizzate, farlo ha significato, e questo è sotto gli occhi di tutti, creare disuguaglianze perché il “razionamento” implicito delle prestazioni sanitarie, a cui siamo arrivati a causa dei tagli al personale sanitario e a causa della riduzione delle risorse, che ha costretto gli operatori a scelte difficili sulla pelle dei cittadini, ha creato, inevitabilmente, cittadini di serie A e cittadini di serie B. Alcuni anche di serie C. Non vogliamo scendere più in basso anche se potremmo.
E’ moralmente inaccettabile pensare che a causa della razionalizzazione operata con la riforma sanitaria regionale, per alcuni cittadini l’accesso a determinate cure o servizi sia stato, e sia, limitato, ritardato o addirittura negato, penalizzando le fasce più deboli ed economicamente svantaggiate e andando contro il principio di universalità e equità che dovrebbe guidare un sistema sanitario pubblico.
Lo abbiamo sempre detto, la sanità non è un settore come gli altri, si occupa della salute e della vita delle persone. Sono questi valori fondamentali e inalienabili e qualsiasi “razionalizzazione” che implichi scelte su “chi ha diritto alle prestazioni”, “quali prestazioni devono essere erogate”, e “come devono essere erogate”, ci pone al centro di questioni etiche profonde e difficili e si rischia di dover decidere sulla base di criteri discriminatori (es. età, tipo di patologia, possibilità di beneficio dalle cure, stile di vita, ecc.).
Tutto questo è nato, dicono, per porre rimedio al Decreto Ministeriale 70/2015, il cosiddetto Decreto Balduzzi, che, sempre nella logica della razionalizzazione e contrazione dei servizi ai cittadini, aveva e ha stravolto l’impianto di cura e assistenza sanitaria.
Precisiamo che quando è stato approvato il DM 70/2015 Balduzzi non era più Ministro, governando in quel momento il PD. L’impianto del Decreto, tuttavia, era il suo e NESSUNO del PD si è mai chiesto se, invece di stravolgere la vita ai cittadini, si dovesse rivedere quell’impianto e non approvarlo tout court, com’era, era.
Localmente, poi, anche i nostri prodi, con la p minuscola, hanno messo del loro.
Sempre con l’obiettivo di razionalizzare e ottimizzare, che significa contrarre e ridurre, il Pd della Val di Cornia, di sua sponte, propose l’unificazione delle due Zone sociosanitarie Val di Cornia e Bassa Val di Cecina e, conseguentemente la fusione delle due Società della Salute attive in quel momento.
Le Zone, a distanza di sette anni, non sono ancora totalmente integrate, con profonde disparità di servizi a favore dei cittadini delle due ex Zone e la chiusura di presidi importanti per una città come Piombino, a favore di Cecina.
E siccome si erano trovati bene, successivamente è stata proposta anche l’unificazione dei due ospedali, Cecina e Piombino, in uno solo con due “stabilimenti”.
La situazione che stiamo vivendo con ortopedia o con cardiologia è direttamente dipendente delle scelte politiche fatte nel 2015, scelte nazionali, regionali e locali.
A distanza di dieci anni dal DM 70/2005 nessuno che si sia preso la briga di modificarlo, restituendo dignità ai territori, tutti ma soprattuto a quelli marginali, e ai loro cittadini.
Noi apprezziamo che i sindaci, oggi, si siano resi conto della difficoltà dei cittadini della ex Zona Val di Cornia e apprezziamo che abbiano tenuto a farlo sapere al presidente Giani.
Sarebbe bastato, tuttavia, non approvare nel 2023 il progetto di Ospedale Unico Cecina Piombino perché, anche solo dalla bozza, erano chiarissime le situazioni che si sarebbero verificate e le condizioni in cui sarebbe finito l’Ospedale di Piombino.
Ma non è troppo tardi, basterebbe fare un passo indietro, ma, purtroppo, non crediamo che qualcuno lo farà.
Rifondazione Comunista Piombino

