Esprimiamo piena solidarietà agli esercenti colpiti e al lavoratore ferito nell’episodio avvenuto durante l’evento di street food a Piombino. Quello che è accaduto è gravissimo: modalità pseudo-squadristiche e pseudo-camorristiche, figlie di una sottocultura criminale che sempre più spesso sfocia nella violenza di branco. È indispensabile che questi comportamenti vengano repressi con decisione, perché in gioco non c’è solo la sicurezza individuale, ma anche la riconoscibilità e la vivibilità della nostra città.
Tuttavia, limitarsi alla sola repressione non basta. Serve un’analisi più profonda delle cause sociali che alimentano episodi come questo: perché questi episodi, sempre più frequenti, non sono più casi isolati, ma frutto di un disagio sociale profondo che va affrontato. Piombino è una città che negli ultimi decenni ha visto crescere l’abbandono scolastico, impoverirsi la sua rete associativa, spegnersi la vita dei quartieri. Con la fine del sistema di fabbrica che produceva reddito e coesione sociale, si è indebolita anche quella rete di prossimità che, un tempo, riusciva a intercettare e prevenire il disagio.
Siamo diventati una città sempre più vecchia, in cui la sera le strade sono vuote, dove chi esce lo fa con cautela e dove chi vive situazioni di marginalità resta isolato, invisibile fino al momento in cui esplode. In questo vuoto si inserisce la cultura della violenza e della sopraffazione, il simulacro di un potere che attecchisce tra chi è rimasto senza strumenti per esprimere il disagio e luoghi che possano incanalarlo questo disagio.
La criminalità di strada – spesso la più visibile, la più fastidiosa, la più devastante per la percezione collettiva di sicurezza – non è solo il prodotto della cattiveria individuale. È il precipitato storico di una città che ha perso slancio e capacità di cura. Una città che ha smesso di generare linfa vitale buona, che si è ripiegata su se stessa, lasciando spazio alla crescita di culture violente e dannose per il territorio.
Va sottolineato che l’altra sera, la presenza di polizia ed esercito a Piombino era massiccia, la città, il centro, quindi, non erano “insicure” nel senso stretto: il problema non è l’assenza di controlli. Erano presenti pattuglie fisse e mobili dall’altezza dell’ex piccolo mondo a viale del popolo. Vedete e ricorderete tutti le camionette dell’esercito in piazza Verdi, dal 2022, chiamate per controllare il passo. Il problema, allora, è più profondo. Non possiamo più pensare che basti una soluzione chirurgica o di forza. Serve una nuova mobilitazione collettiva.
Serve un nuovo sistema Piombino: un grande lavoro culturale e politico, capace di ridare senso e prospettiva alla nostra città. Serve un piano coraggioso, che non abbia timore di parlare di politica – perché è la politica, intesa come scelta di valori e priorità, che può ridare una rotta alla società. Servono investimenti veri nel sociale, nella scuola, nella cultura, nell’associazionismo, nella cura delle fragilità.
Noi di Rifondazione Comunista l’avevamo già chiesto: serve aprire un tavolo permanente che metta insieme servizi sociali, forze di pubblica sicurezza, Comune, associazioni, forze politiche. Non per dividerci, ma per condividere la responsabilità di risanare il tessuto della nostra comunità.
Perché se oggi reprimiamo ma non costruiamo alternative, domani rischiamo di ritrovarci a convivere con banlieue, con ghetti che si isolano, con quartieri dove la legge della strada prevarrà sul diritto alla città.
Non possiamo permetterlo. Piombino merita di vivere.
E vivere vuol dire essere comunità.
Circolo Rifondazione Comunista Piombino

