Testo di Gordiano Lupi, foto di Riccardo Marchionni.
Deserto il corso, gli interni delle case, intorno, velati da tendine frangisole, fanno intuire piccoli suoni domestici; la provincia maremmana assopita nell’ora mattutina, mentre si destano i ricordi, fatica a risvegliare membra di rami affacciati sul lido silente. Pochi rumori sperduti nel sole della marina brulla d’una precoce primavera, pur se ragazzi chiassosi giocano a calcio in piazza Lega, balcone affacciato sul Nastro Azzurro che fa intuire lo chalet d’una spiaggia proletaria. Piombino raccoglie un segreto antico, tra fumi di scogliera ventosa e salmastro notturno, un segreto maremmano di ferro e sassi, un segreto affondato nei giorni che corrono lesti.
L’odore di Piombino, l’odore della povertà passata, l’odore degli angusti terreni davanti al Cornia, l’odore del vento di mare a primavera, l’odore del tempo passato. Fra Grosseto e Livorno, campi di battaglia d’una perduta guerra, dove freme il tempo senza tempo che è il tempo della storia, mentre una bianca strada si fa largo tra industrie e mare, discarica e padule, uccelli selvatici e stanchi gabbiani, sulle rive d’un Cornia che feconda la battigia. Lingue d’acqua leggere come l’etere stagnano lungo il viottolo pietroso che porta al litorale del Quagliodromo, tra profili acquerellati di terraferma, in un silenzio abissale interrotto dal grido imperfetto d’un gabbiano. Ecco il territorio della mia esistenza. Ecco il presente che parla di passato

